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27/06/2018
GANESHA, IL DIO DALLA TESTA DI ELEFANTE

Una delle divinità induiste più conosciute e venerate è Ganesha, figlio di Shiva e Parvati.

Il dio dalla testa di elefante è venerato dagli induisti anzitutto per una ragione: nei testi sacri Indù è considerato colui che rimuove gli ostacoli. Quando una persona deve gettarsi in una nuova impresa, dare avvio a qualcosa di importante – la costruzione della propria casa, l’inizio di un amore, un lungo viaggio, l’assunzione in un posto di lavoro – è a Ganesha che chiede protezione e aiuto per superare le difficoltà sul proprio cammino.

Secondo gli antropologi questa credenza deriva da un culto dell’elefante diffuso nelle campagne indiane sin da tempi antichissimi. Infatti l’elefante è dotato di una forza straordinaria: è capace per esempio di spostare con la proboscide un pesante tronco d’albero caduto sulla strada. Proprio come l’elefante noi dovremmo imparare ad andare dove vogliamo rimuovendo gli ostacoli davanti a noi.

Per gli Indù l’elefante è simbolo anche di autorità e di saggezza. Non a caso i sovrani e i guru del passato si presentavano davanti ai sudditi o ai fedeli in groppa a questo bellissimo animale.

Ma la figura di Ganesha nasconde anche ben altro. Per capire in particolare il suo legame con le donne ci viene in aiuto uno dei miti che raccontano la sua nascita.

La dea Parvati desiderava un figlio ma il suo compagno, il dio Shiva, non voleva saperne. Parvati decise allora di generarlo da sola: il bambino nacque da una grande risata della dea o – secondo un’altra versione del mito – dal sudore della sua pelle. Il figlio di Parvati (nato d’aspetto umano) era molto forte, perciò la dea gli diede un ordine: tu proteggerai le mie stanze private e impedirai a chiunque di entrare mentre io faccio il bagno. Purtroppo però arrivò Shiva, ignaro di tutto, e cercò di entrare nelle stanze della moglie. Il ragazzo, obbedendo alla madre, gli sbarrò la strada e Shiva, furibondo, gli tagliò la testa di netto. Indignata, la Dea pretese che Shiva mandasse sulla Terra tutti gli esseri celesti (i Gana) a recuperare una testa da riattaccare al corpo di suo figlio per riportarlo in vita. I Gana tornarono portando una testa di elefante: perciò da allora il figlio di Parvati ha quell’aspetto e viene chiamato Ganesha o Ganapati che significa “Signore degli esseri celesti”.

Ganesha viene rappresentato con una testa di elefante con grandi orecchie per ascoltare meglio, occhi piccoli per essere più concentrato e bocca piccola per parlare poco.

Ha una sola zanna. Secondo una leggenda, mentre scriveva il Mahābhārata, uno dei più noti poemi epici indiani, spezzò la stilo con cui scriveva. Per continuare la stesura del poema, sotto dettatura del saggio Vyasa, si spezzò una zanna e continuò a scrivere con questa, preferendo la saggezza alla bellezza.

Ha quattro braccia. In una possiede il loto, fiore di purezza che rappresenta il buon agire. Il loto è il fiore che nasce dal fango e si mostra in tutta la sua bellezza, allo stesso modo rappresenta la purezza del nostro cammino supportato da Dharma. Anche per questo fiore simbolico che possiede, Ganesha viene identificato come simbolo di buon auspicio e buon augurio.

Con due mani regge l’Ankusha, attrezzo che i conduttori di elefanti usano per guidarli.

Nella mano di sinistra possiede dei dolcetti, i “siddhi”: i risultati di una buona pratica.

Nella proboscide Ganesha ha l’Amrita, il nettare degli dèi, in grado di generare uno stato di Ananda, ovvero di gioia suprema.

Ai piedi di Ganesha c’è il topolino Aku che simboleggia l’astuzia, la velocità. Secondo alcuni testi rappresenta, invece, il desiderio e la necessità di tenerlo sotto controllo per evitare che prenda il sopravvento.