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29/04/2016
MEDITARE: UNA RINUNCIA AL SE'

“…Colui che compie l’azione da farsi senza riporre speranza alcuna nel frutto, costui è un rinunciatore e uno Yogin, senza, per questo, essere privo di fuoco e di azioni…” Bhagavadgita Questa è una delle frasi più ricche di significato che questo testo sacro ci dona per comprendere quale dovrebbe essere l’intenzione di colui che intraprende il cammino dello Yoga. Nella pratica dello Yoga non c’è meta da raggiungere, traguardo a cui arrivare se non una maggiore percezione del proprio corpo, nella consapevolezza dei propri limiti ed un distacco dai pensieri che troppo spesso fanno della mente il comandante della nostra esistenza. Più di ogni altra cosa, praticare con costanza dovrebbe portare al raggiungimento di uno stato meditativo. Non è raro avvertire tra chi segue la disciplina Yogica una forma di ritrosia nel dedicarsi alla Meditazione, qual è la motivazione? Sicuramente ci sono degli ostacoli da riconoscere e superare per poter raggiungere uno stato di coscienza tale da consentirci di non dare energia ai pensieri e a lasciarsi andare completamente al flusso delle sensazioni che solo una meditazione profonda può offrire per ritrovare se stessi. La mente si alimenta di stimoli esterni e non appena cerchiamo di placare questo impeto sopraggiunge la noia, riflessioni, una forma di inquietudine, ricordi che ci distraggono dal momento che stiamo vivendo e finiamo per ritrovarci in un dialogo continuo con noi stessi senza riuscire né ad apprezzare né comprendere l’importanza dell’ascolto interiore nel silenzio più profondo. Questo forma di attrito interiore o turbamento può addirittura portarci a sentire prurito fisico, sensazioni di disagio nella mente e nel corpo. La soluzione? Accettare tutto ciò che arriva senza legarcisi, senza nutrire nulla se non il testimone che c’è in noi pronto ad osservare e quindi arrivare a meditare...